È biologico o non è biologico? Come si fa a rispondere a questo interrogativo? Partire dal prodotto finito non si può perché, al momento, non esiste un metodo scientifico che consenta di dire se un prodotto è biologico o no. Per questo, il movimento per il biologico prima e l’Unione europea poi, hanno definito una serie di norme per indicare quali processi di produzione debbano seguire i vari prodotti per poter essere definiti bio.
Incluse le regole per controllare e certificare che ogni prodotto si presenta come biologico abbia effettivamente seguito quei processi produttivi. È questo che rende così importante il buon funzionamento del sistema di controllo del biologico: ne va della fiducia o meno dei cittadini per questa categoria di alimenti.
IL CONTROLLO È EFFICACE DAVVERO?
Da queste premesse è partita la Corte dei Conti europea per un’indagine tesa a stabilire, appunto, se “il sistema di controllo relativo ai prodotti fornisce sufficienti garanzie riguardo al rispetto degli obblighi fondamentali in materia di produzione biologica, trasformazione, distribuzione e importazione”. La risposta è stata l’individuazione di sette “debolezze” (vedi box). “Sono critiche importanti che vengono dall’interno della stessa Comunità europea e vanno prese molto sul serio, ma guai a trarne la conclusione che tutto il sistema del biologico europeo patisce di quelle debolezze“. A dirlo è Alessandro Triantafyllidis, presidente dell’Aiab che aggiunge: “L’indagine, infatti, è stata condotta in 5 Paesi membri su 27 e anche in quei 5 Paesi non sono presenti tutte quelle deficienze, alcuni le hanno in un campo altre in un altro”. Quelle presenti anche in Italia, secondo il presidente dell’Aiab, sono: l’inadeguatezza dei controlli sulle importazioni dai Paesi terzi; la mancanza di scambio d’informazioni, in particolare fra gli organismi di controllo (Odc); alcune Regioni, una minoranza, fanno pochi controlli sugli Odc.
UN UNICO CERTIFICATORE
Quasi in contemporanea con il rapporto della Corte dei Conti europea si è avuta notizia di due novità normative: un decreto legge che, in Italia, sancisce che ogni azienda può avere un solo organismo di controllo; l’altra, che vale per tutta l’Unione, riguarda invece il cambiamento delle modalità con le quali saranno autorizzate le importazioni dai Paesi terzi, cioè esterni all’Unione. “Il decreto sul controllore unico – spiega Francesco Giardina, Coordinatore del Sinab (Sistema informativo sull’agricoltura biologica del Ministero delle politiche agricole) – è una risposta agli scandali che nell’ultimo anno hanno investito il settore del biologico nel nostro Paese. In particolare, in uno di questi, denominato “Gatto con gli stivali”, si è verificato che, quando un’azienda era controllata da più enti di certificazione un titolare malintenzionato poteva giostrarsi meglio per realizzare una truffa dando a ogni organismo informazioni diverse e contando sul fatto che la comunicazione fra i diversi organismi era scarsa se non assente”. “La patologia è che due Odc, pur lavorando sulla stessa azienda, e pur sapendo uno dell’altro, non si parlano. A quel punto, chi vuole truffare, sceglie di avere due organismi diversi nella sua filiera, solitamente uno sulla parte produttiva e uno sulla parte commerciale, così nel passaggio fra l’una e l’altra si possono più facilmente falsificare, per esempio, i documenti contabili”. A dirlo è Paolo Carnemolla, presidente di Federbio (la Federazione che riunisce varie componenti del mondo del biologico, dai produttori ai consumatori, inclusi gli organismi di controllo). “Il controllore unico – aggiunge – risolve il problema se il ciclo produttivo si conclude in una sola azienda ma se c’è una filiera complessa con più aziende che hanno diversi Odc che continuano a non comunicare tra loro non abbiamo risolto niente. È vero che nel decreto c’è una parte dedicata agli obblighi di comunicazione fra Odc, ma è su un aspetto specifico, vale a dire il passaggio di un operatore da un controllore a un altro. Per quanto riguarda la filiera, invece, non c’è nulla. Un passo avanti dunque, ma molto resta ancora da fare”.
I PROBLEMI DELL’IMPORT
Delle sette debolezze evidenziate dalla Corte dei Conti ben tre riguardano le importazioni dai Paesi terzi (vedi box ai punti 5, 6, 7). In più lo scandalo “Gatto con gli stivali”, il più clamoroso, riguardava interamente merce proveniente dall’estero. Le nuove regole introdotte dall’Unione migliorano la situazione? “Il nuovo Regolamento contiene – spiega Giardina – un elenco di 53 organismi di controllo, che operano in tutto il mondo, che sono stati riconosciuti dalla commissione. I produttori certificati da questi organismi potranno far arrivare i loro prodotti direttamente nell’Unione europea, allargando così di molto le maglie visto che si aggiungeranno ai prodotti dei Paesi già in regime di equivalenza”. Per Triantafyllidis, “alla valutazione Paese per Paese dell’equivalenza dei regolamenti e dei sistemi di controllo dei Paesi non Ue, che certamente portava via moltotempo, si affianca un sistema più semplice e veloce, ma più difficile da controllare”. Carnemolla aggiunge che ci sono due rischi: “uno per i produttori che vedranno arrivare più facilmente merci a prezzi più bassi dei loro, per costi di produzione e di controllo inferiori, e uno per i consumatori per la debolezza del sistema di controllo”. La ragione di queste perplessità è condivisa da tutti: se è vero quello che dice la Corte dei conti che già ora la Commissione non riesce a controllare adeguatamente i prodotti provenienti dai Paesi in regime di equivalenza, come farà a controllare anche quelli che arriveranno dai 57 organismi di controllo ora accreditati nel mondo?
LA FOGLIA È OBBLIGATORIA
L’ultima novità portata dall’estate è che dal primo luglio è diventato obbligatorio per i Paesi membri l’uso in etichetta del marchio Ue del biologico con sotto la scritta “provenienza Ue” (oppure, per esempio, “provenienza Italia”, se il prodotto arriva al cento per cento da un solo Paese). Per i prodotti provenienti da Paesi terzi, invece, l’uso del marchio resta facoltativo, mentre è obbligatoria in etichetta la scritta “provenienza non Ue”. Una maggiore chiarezza di comunicazione che sarà utile per le scelte dei consumatori.
Questi sono i 7 punti su cui bisognerà puntare l’attenzione
La Corte dei Conti europea ha svolto un’indagine sul sistema di controllo dei prodotti biologici in Europa visitando 5 Paesi membri. Il lavoro si è concluso con l’indicazione di 7 debolezze alle quali, scrive la Corte, occorre porre rimedio per dare “garanzie sufficienti sull’efficace funzionamento del sistema di controllo ed evitare di minare la fiducia del consumatore”. Nonostante la severità della critica, secondo il rapporto non è il sistema di controllo nel suo insieme a essere in discussione bensì alcuni specifici problemi rilevati in uno o più dei 5 Paesi visitati e che potrebbero essere presenti anche nel resto dell’Unione. Eccoli in sintesi:
1. Ci sono debolezze nel modo in cui gli Stati membri accreditano gli organismi di controllo e vigilano sul loro lavoro.
2. Lo scambio d’informazioni – all’interno degli Stati membri, con la Commissione e con altri Stati membri – è insufficiente.
3. Ci sono difficoltà nell’assicurare la tracciabilità dei prodotti.
4. Le azioni della Commissione per assicurare il buon funzionamento del sistema di controllo degli Stati membri sono insufficienti.
5. Sono inadeguate le attività della Commissione per garantire che i Paesi terzi equivalenti – vale a dire che usano Regolamenti e sistemi di controllo equivalenti a quelli europei – continuino a soddisfare i requisiti del Regolamento dell’Unione.
6. Ci sono debolezze nella gestione delle autorizzazioni all’importazione affidata agli Stati membri.
7. I controlli effettuati dagli organismi di controllo sugli importatori e sui prodotti importati sono spesso incompleti.