Miele biologico? Che cosa vuol dire? Tutto il miele è naturale!… È un’obiezione che abbiamo sentito spesso. “In effetti, molti consumatori pensano che sia così, e per certi versi è stato vero fino agli anni ottanta. Fino ad allora, infatti, non c’era bisogno di fare trattamenti sistematici agli alveari”. A dirlo è Tiberio Roscioni, da Camerino, agronomo, apicoltore per hobby e di professione tecnico dell’IMC (Istituto mediterraneo di Certificazione, uno degli organismi di controllo e certificazione delle produzioni biologiche). Tutto è cambiato con l’arrivo di un parassita, la varroa.
Il dramma varroa
La varroa è un acaro che si attacca al corpo dell’ape per nutrirsi e che può portare fino alla distruzione della colonia. “Finora – spiega Roscioni – non si è trovato alcun sistema per debellare del tutto questo parassita, che provoca i danni più gravi all’apicoltura in tutto il mondo. Con i trattamenti, diversi tra biologico e convenzionale, che sono diventati indispensabili, si possono solo controllare e contenere le infestazioni riducendo al minimo i danni. Intanto, si sta cercando di selezionare delle varietà di api più resistenti alla varroa“. Anche nel caso dell’apicoltura, come in tutta l’agricoltura biologica, il Regolamento europeo vieta l’uso di mezzi di difesa di sintesi chimica. “Le modalità per combattere la varroa – dice Francesco Caboni, della Cooperativa Apistica Mediterranea in provincia di Cagliari – sono una delle differenze principali fra l’apicoltura biologica e quella convenzionale. Noi apicoltori biologici possiamo usare solo sostanze naturali come timolo ed eucaliptolo, o l’acido ossalico. Purtroppo, però, non esistono ancora prodotti adeguati per contrastare più efficacemente questa avversità nell’apicoltura biologica”.
I trattamenti nel convenzionale
“L’uso di sostanze chimiche come gli acaricidi – aggiunge Roscioni – porta con sé il rischio d’inquinamento del miele e la certezza dell’accumulo di queste sostanze nocive nei fogli di cera che sono inseriti negli alveari per consentire alle api di modellare le cellette per le covate e per il miele. Di conseguenza, per l’apicoltura biologica sono previsti fogli di cera prodotti appositamente ed esenti da ogni forma d’inquinamento. E per questo, anche, il controllo della cera fornisce buone indicazioni sulla situazione ambientale all’interno dell’alveare e anche sulla qualità del miele“. A proposito di sostanze chimiche pericolose per le api, non molto tempo fa l’Unione europea ha sospeso l’uso di alcuni antiparassitari, chiamati neonicotinoidi, utilizzati per difendere le sementi come quella del mais. “Il fatto è – spiega Caboni – che si usano ancora su diversi tipi di alberi da frutto che sono visitati dalle api, mettendo a repentaglio, insieme alla vita degli animali, una delle loro funzioni più importanti, quella di impollinatori. Senza l’impollinazione, garantita dalle api e da altri insetti, alcuni tipi di alberi come meli, mandorli, ciliegi, agrumi e altri ancora non produrrebbero frutta“.
Essenziale la qualità dell’ambiente
“Le api potrebbero essere usate come degli straordinari indicatori della qualità dell’ambiente perché, tornando dai loro voli, non riportano all’alveare solo nettare e polline, ma anche una campionatura degli inquinanti che si trovano nell’ambiente anche in quantitativi minimi”. A spiegarlo è Ovidio Urbani, da Serra S. Quirico, in provincia di Ancona, biologo ambientalista, agricoltore biologico da 40 anni nell’Azienda Agricola Simoncini Marisa. “È chiaro dunque – continua Urbani – che la qualità dell’ambiente nel quale le api bottinano è decisiva per produrre un miele effettivamente biologico e di qualità”. Ma come si fa a delimitare lo spazio del girovagare delle api in cerca di fonti di cibo? “È il comportamento delle api – spiega Urbani – a suggerire le regole. In condizioni normali, infatti, un’ape si allontana dall’alveare 500-1000 metri, ma può arrivare fino a 3 chilometri se non trova fonti di cibo più vicine”. Da qui il Regolamento dell’Unione europea ha ricavato la norma che dice “L’ubicazione degli apiari deve essere tale che, nel raggio di tre chilometri dal luogo in cui si trovano, le fonti di nettare e polline siano costituite essenzialmente da coltivazioni biologiche e/o da flora spontanea e/o da coltivazioni sottoposte a cure colturali di basso impatto ambientale”. Questa è l’altra grande differenza con l’apicultura convenzionale per la quale non esistono limitazioni di questo tipo. “La legge però – osserva Raffaele Dall’Olio del Cra-Api, l’unità che si occupa di api nel Consiglio per la ricerca e la sperimentazione in agricoltura – stabilisce che tutti i mieli, sia convenzionali sia biologici, possono provenire solo dai fiori o dalla melata delle piante e non da altre sostanze zuccherine. Inoltre, sono indicati dei limiti alla presenza di determinate sostanze nocive provenienti da varie fonti d’inquinamento (industrie, emissioni domestiche, traffico, agricoltura). Se questi limiti, che talvolta sono uguali a zero, sono superati il prodotto non può essere commercializzato”.
Mono o poli floreali?
La scelta dei luoghi nei quali far bottinare le api è fondamentale non solo per la salubrità del miele ma anche per la sua qualità organolettica. Una grande distinzione, che dipende appunto dagli ambienti di “pascolo”, è quella fra mieli mono floreali e poli floreali o millefiori. “Poiché le api bottinano quello che trovano – spiega Dall’Olio che, oltre a essere ricercatore del Cra-api, è anche docente per l’albo degli assaggiatori di miele – fare un miele con certe caratteristiche dipende dall’abilità dell’apicultore nel scegliere il luogo e il periodo dell’anno nel quale portare le arnie affinché, alla fine, il miele ottenuto sia quello desiderato”. Sul confronto fra mono floreali e poli floreali le opinioni si dividono. “In questo momento – osserva Urbani – i mono floreali sono di moda ma io credo che i millefiori siano da preferire per il gusto e le proprietà nutrizionali dovute proprio alla presenza di nettari diversi. Naturalmente il discorso cambia per certi mieli fortemente territoriali, come per esempio l’arancio”. Caboni, per esempio, è molto fiero dei suoi mono floreali di corbezzolo, di asfodelo e di cardo, tipici della Sardegna. “Ma per farli, dice, dobbiamo fare un’apicultura veramente nomade, portando in giro i nostri apiari per tutta l’isola, da nord a sud, dalle montagne al mare”.