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Ma la frutta fa ingrassare? È così zuccherina…

“Ma la frutta fa ingrassare? È così zuccherina…”, oppure “È vero che per controllare la glicemia devo mangiare solo mele verdi?” Ecco un paio di domande che vengono poste abbastanza frequentemente. Specie in estate, quando il consumo di frutta in genere aumenta. E che hanno alla base da una parte il timore che lo zucchero della frutta possa essere responsabile dell’aumento di peso e dall’altra di contribuire al diabete o alla glicemia alta. Inoltre, negli ultimi anni hanno preso piede delle diete dimagranti – come la dieta chetogenica o le iperproteiche – che eliminano o riducono tantissimo gli alimenti contenenti zuccheri. E così la confusione può aumentare. Per cercare di fare un po’ di chiarezza, ecco allora tre considerazioni sull’argomento. Spoiler: alla fine la frutta vince.

Non solo zuccheri

Certamente la frutta, in dosi e proporzioni variabili, è una fonte di zuccheri semplici, ossia fruttosio, glucosio (entrambi monosaccaridi, cioè composti da una molecola) e saccarosio (dato dall’unione di glucosio e fruttosio). Tuttavia va detto che questi zuccheri non possono essere considerati come lo zucchero che aggiungiamo al caffè, ad esempio. Mentre il primo apporta solo calorie vuote, quelli della frutta non sono zuccheri liberi ma dei componenti naturali di alimenti, che vanno quindi estratti dal nostro apparato digerente. E la frutta contiene anche tante altre sostanze (oltre all’acqua) molto preziose per la salute: minerali, vitamine antiossidanti (una su tutte la C!), acidi organici e fibre, queste ultime utili anche a ridurre l’impatto sulla glicemia. Insomma, non mangiare la frutta per paura dei pochi grammi di zucchero che contiene, priva l’organismo di sostanze protettrici della salute. Come ha ribadito anche il lavoro pubblicato pochi mesi fa su Circulation della Harvard Medical School nel quale il consumo giornaliero di due porzioni di frutta e di tre porzioni di verdura è stato associato alla massima longevità.

Frutta: amica della bilancia

In linea generale gli alimenti che facilitano l’aumento di peso sono quelli che in poco volume apportano tante calorie. E che non hanno bisogno di essere masticati a lungo. Tutte caratteristiche che non appartengono alla frutta, visto che nella maggioranza dei casi apporta tra le 30 e le 40 calorie per 100 grammi, partendo dalle 16 calorie dell’anguria e arrivando alle 60-65 Cal di uva e banane (quelli molto calorici come il cocco o l’avocado, lo sono a causa dei grassi e non degli zuccheri…). E in nutrizione, va ricordato, è sempre una questione di quantità: gli eccessi non sono mai consigliabili. E quindi sarebbe sbagliato mangiare chili anche della salutare frutta tutti i giorni, ma il consumo di 2 o 3 porzioni da 100-150 g è perfettamente compatibile sia con il dimagramento che con la quantità di zuccheri semplici da assumere al giorno (all’interno di un’alimentazione equilibrata, ovviamente). Magari, se si vuole stare molto attenti, si possono ridurre a 100 g le porzioni dei frutti più zuccherini come uva, banane e fichi e stare intorno ai 150 g per gli altri. Ma piuttosto che ridurre la frutta, meglio eliminare lo zucchero o il miele aggiunti alle bevande (o il dolcetto a fine pasto).

Tra l’altro la frutta aiuta a dimagrire perché è uno spuntino ideale e un’alternativa ipocalorica e salutare rispetto a biscotti, merendine e così via (oppure a fine pasto al posto dei dessert). Insomma, scegliendola si risparmiano calorie e la bilancia ringrazia.

Riguardo alle diete dimagranti che eliminano la frutta, specie se si prolungano, bisogna tenere presente che seguendole si priva l’organismo di sostanze importanti per la salute e che non possono essere davvero sostituite dagli integratori. Più ricerche hanno provato che sono i frutti interi a dare i maggiori benefici. Insomma, meglio valutare i pro e i contro.

 

Frutta, fruttosio, indice e carico glicemico

Con la scoperta dell’indice glicemico da una parte, e il crescente apprezzamento delle virtù nutrizionali dall’altra, ormai due porzioni di frutta al giorno vengono consigliate anche a chi ha il diabete o una glicemia da tenere sotto controllo. Ma non solo: probabilmente il consumo regolare di frutta potrebbe essere addirittura protettivo: a questo proposito va ricordata un’analisi pubblicata sul Journal of Clinical Endocrinology & Metabolism nella quale i partecipanti che mangiavano circa 2 porzioni di frutta al giorno presentavano un rischio inferiore del 36% di ammalarsi di diabete nei 5 anni successivi, rispetto ai consumatori scarsi di frutta.

Riguardo al rapporto tra glicemia e indice glicemico, va detto che il fruttosio naturalmente presente nella frutta viene metabolizzato in modo differente rispetto al glucosio. Il fruttosio viene assorbito molto più lentamente (anche perché va trasformato in glucosio per essere digerito), tanto da stimolare pochissimo la secrezione di insulina (ossia l’ormone che riporta alla normalità i valori di zuccheri nel sangue). È noto come il fruttosio abbia un indice glicemico basso: ossia di 20 (mentre il glucosio, essendo lo zucchero di riferimento per la misurazione dell’Indice, ha valore 100).

Oltre al fruttosio, che quindi riduce l’impatto sulla glicemia della frutta, si è anche notato che la frutta più acida, come gli agrumi, ha un indice glicemico inferiore, e ciò a prescindere dal contenuto di fibre, che riducono l’impatto sulla glicemia (per questo sarebbe bene mangiare sempre la buccia, quando possibile). Probabilmente ciò è dovuto al fatto che le sostanze acide rallentano lo svuotamento gastrico, modulando così l’assorbimento degli zuccheri. Ma anche l’osmolarità conta (ossia la concentrazione di particelle per ml di soluzione): più è alta e minore sarà l’Indice. Insomma, la frutta non è tutta uguale. Oltre agli agrumi, i frutti da segnalare per il loro Indice basso sono le fragole e poi le more, le ciliegie o i frutti di bosco (ribes, lamponi…).

Un modo giusto e sano di abbassare l’impatto glicemico della frutta è anche quella di associarla negli spuntini a una manciatina di mandorle o noci (o altra frutta a guscio): i grassi buoni presenti in questi alimenti rallenteranno lo svuotamento dello stomaco, consentendo un rialzo glicemico più contenuto, oltre che un duraturo senso di sazierà.

Non solo l’Indice: conta anche la dose

Tuttavia, non dimentichiamo che la quantità di zuccheri nella frutta non è certamente paragonabile a quella dei cereali: anche in caso di IG elevato (ad esempio il melone che ha 70), una normale porzione di 100-150 g non è certo in grado di fare impennare la glicemia. In effetti, l’indice glicemico ci dà un’indicazione di come il tipo di amido o di zucchero presenti in ciò che mangiamo influenzi l’andamento della glicemia e della secrezione di insulina. Indicazione che rimane identica, a prescindere dalla quantità che mangiamo. Quando, però, ci interessa conoscere più precisamente l’impatto sulla glicemia della nostra porzione di frutta (ma non solo) che stiamo per mangiare, l’indice glicemico non basta. Per questo scopo è stata introdotta una nuova misurazione, il cosiddetto carico glicemico. In caso di dubbio, possiamo calcolare il carico glicemico moltiplicando l’indice glicemico dell’alimento in questione per i grammi di zuccheri disponibili della porzione e dividendo per cento. Per 100 g di melone il calcolo sarà questo: 70 (IG) x 7,4 (carboidrati disponibili in 100 g):100=5,18 equivalente a un bassissimo carico (ricordiamo che il carico glicemico fino a 10 è bassissimo, fino ai 20 è medio e oltre è alto). Ancora una volta, è la porzione che fa la differenza!

Due precisazioni finali: la prima è che tutte queste considerazioni sono valide solo per la frutta cruda e al naturale, meglio se con la buccia. E la seconda riguarda chi segue una terapia o è in cura per la sua glicemia fuori controllo: prima di variare eventualmente il consumo di frutta, è sempre bene farlo in accordo col proprio medico curante.

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