fbpx
Vellutata di cavolfiore light
Vellutata di cavolfiore light
Quali sono i grassi buoni e dove si trovano
Quali sono i grassi buoni e dove si trovano
Il latte e le alterative vegetali: soia, avena, riso, mandorla…
Il latte e le alterative vegetali: soia, avena, riso, mandorla…
30707016_10156301888199287_1493183837591568384_n
previous arrow
next arrow

LO SPUMANTE

Gli spumanti possono essere naturali o gassificati. Capire la differenza è importante, perché consente al consumatore di orientarsi meglio e di non incorrere in “abbagli”. In uno spumante naturale l’anidride carbonica che rende vivace il vino si sviluppa attraverso la rifermentazione del vino base. In pratica, a un vino bianco si aggiungono lieviti che provocano una seconda fermentazione chiamata “presa di spuma“, che conferisce allo spumante le famose bollicine. Questa rifermentazione può avvenire in due modi: in bottiglia (metodo “Champenois” o metodo classico) o in grandi serbatoi (metodo “Charmat“).

Lo spumante gassificato si ottiene invece addizionando anidride carbonica al vino. In pratica è un vino gassato. Anche se il prezzo di questi spumanti (peraltro ormai molto rari) è molto allettante, il confronto sulla qualità non regge. Siamo infatti di fronte a un prodotto che lascia molto a desiderare sia sul piano del bouquet che sul piano del perlage (le bollicine), che è una delle caratteristiche più importanti per valutare la qualità di uno spumante. Quando si osserva uno spumante (l’esame visivo è molto importante nella degustazione) la durata del perlage, il numero di bollicine e la loro forma sono importantissime: più sono piccole e numerose, migliore è lo spumante.

Gli spumanti naturali

Gli spumanti naturali si classificano in due modi diversi: secondo i tipi di uve impiegate, distinte in uve a sapore semplice (Pinot, Riesling, Chardonnay, ecc.) e uve aromatiche (Moscato, Malvasia, oltre a varietà considerate “semi-aromatiche” come il Müller Thurgau e il Traminer Aromatico), oppure secondo la tecnica di elaborazione, che vede il metodo classico o Champenois da sempre contrapposto a quello Charmat. Vediamo quindi più in dettaglio questi due metodi.

Il metodo classico o “Champenois”

Il metodo Champenois (dizione riservata esclusivamente ai vini spumanti rifermentati in bottiglia e ottenuti nella zona dello Champagne in Francia; per quelli elaborati in Italia si usa la dizione “metodo Classico” o “tradizionale”), si utilizza per produrre gli spumanti di un certo livello.

bollicineLa leggenda vuole che Dom Pérignon, economo del convento di Hautvillers, sul finire del Seicento, imbottigliando del vino della regione Champagne – da qui il termine Champenois – si accorgesse che il vino “spumeggiava“. In realtà al famoso monaco, più che la scoperta vera e propria, va riconosciuta l’invenzione della cuvée, la combinazione cioè di vini diversi che, scelti accuratamente e miscelati, rendono unico ogni Champagne.

Leggende a parte, per fare un grande spumante si parte da un vino bianco già maturo, fermo, il più delle volte una cuvée appunto (miscuglio) di vini scelti molto accuratamente. Se i vini della cuvée sono tratti da uve della stessa annata, si parla di spumante “millesimato“. Al momento dell’imbottigliamento, al vino base viene aggiunto uno sciroppo di zucchero addizionato di lieviti (liqueur de tirage) che favorisce la rifermentazione in bottiglia: è la fase del tirage. Le bottiglie vengono tappate con tappi a corona e deposte orizzontalmente in apposite rastrelliere dette pupîtres ove rimangono per un periodo da 2 a 4 anni, durante il quale il vino diventa secco, perché gli zuccheri vengono trasformati dai lieviti in alcol e gas. Raggiunto il giusto grado di secchezza, le bottiglie vengono progressivamente inclinate finché non assumono una posizione verticale con il tappo rivolto verso il basso affinché gli scarti della rifermentazione si depositino nel collo. Questa fase è detta remuage. Per eliminare i residui si passa poi al dégorgement o “sboccatura”, durante la quale viene fatto ghiacciare il collo della bottiglia e si toglie il tappo a corona. La pressione dell’anidride carbonica fa saltare via i depositi che si sono accumulati a ridosso del tappo nella caratteristica “bidulle” (una piccola capsula in plastica) e fuoriesce un po’ di spuma.

Le bottiglie vengono poi ricolmate o con il liqueur d’expédition, uno sciroppo composto da zucchero di canna, distillati e vecchi spumanti, di cui ogni azienda ha la propria ricetta esclusiva (è questa miscela che conferisce allo spumante il suo carattere inconfondibile, che potrà così essere più o meno secco a seconda della quantità di zuccheri immessi nel vino), oppure più semplicemente con lo stesso vino. Alla fine la bottiglia viene chiusa con il caratteristico tappo di sughero trattenuto da una gabbietta di metallo.

Il metodo “Charmat”

Il metodo Charmat è il più utilizzato per produrre gli spumanti italiani, soprattutto per l’Asti Spumante. A idearlo fu, alla fine dell’Ottocento, un enologo italiano, Federico Martinotti. Prevede la rifermentazione in recipienti d’acciaio chiusi ermeticamente e resistenti alla pressione (autoclavi).

Quando il vino è pronto, si imbottiglia con una macchina isobarica, così chiamata perché mette il vino in bottiglia alla stessa pressione che aveva nella vasca di fermentazione. Il sistema di lavorazione è molto più veloce di quello Classico e permette di offrire un prodotto valido ad un prezzo più contenuto. Viene usato sia per uve aromatiche tipo Moscato e Brachetto, sia per prodotti semisecchi e secchi come il Prosecco, che non hanno bisogno di stare a lungo in cantina.

Lascia un commento