La cosa difficile è non farsi prendere dai sensi di colpa quando ci si rende conto che l’apporto calorico del menù pasquale basterebbe a sfamare un intero orfanotrofio per un mese. La cosa difficile è cedere alle provocazioni della Pasqua e rimanere indifferenti davanti agli slittamenti della bilancia, alle tonnellate di avanzi che ammuffiscono nel frigorifero, al peccaminoso sapore della frittura. Non è per fare i moralisti ma oggi come oggi il banchetto, perduta la sua carica simbolica e anche un po’ trasgressiva, è un insulto alla crisi, al sistema sanitario nazionale e all’etica.
Già perché il gozzovigliare aveva senso quando la dieta dell’italiano medio era ben più povera dell’attuale e le feste erano l’occasione per assaggiare pietanze che durante il resto dell’anno pochi potevano permettersi. Non vi pare? Bene, adesso prendete queste sagge considerazioni e ignoratele perché nella triste contemporaneità il cibo è ancor di più solo e semplicemente festa. Voglio festeggiare o no? Questa la domanda che ciascuno dovrebbe porsi davanti ad una generosa torta pasqualina o ad una fetta di pastiera napoletana. Certo, il non credente potrebbe obiettare che da festeggiare non ha nulla e il credente replicare che Pasqua è essenzialmente festa dello spirito. Ma ognuno si fa male come meglio crede, d’altronde esistono persino i fan delle polpettine Ikea.
Ma noi guardiamo al tradizionale, e il pranzo allora si trasforma in omaggio a quei magnifici esempi di made in Italy creati dalle generazioni passate prima ancora che l’Italia esistesse, dalla crescia della Val D’Aosta (una focaccia al formaggio accompagnata con salame) alla minestra messinese di carne e ricotta (u’ sciuscieddu) passando dala focaccia di Bagno di Romagna (uno strepitoso dolce non lievitato) ai mille pani dolci e salati dell’Italia centro meridionale. Tradizoni gastronomiche di provenienza diversa (ebraica, cristiana, pagana) sulle quali si sommano i piatti di stagione diffusi ovunque in Italia, come le uova o l’agnello. E, senza esagerare, rivoluzionare la propria dita per qualche giorno non arreca – in condizioni fisiche normali – particolari danni.
Non esistono ricette migliori di altre, ma sono da preferire quelle che presentano un giusto equilibrio tra carboidrati e fibre, come la “Schiacciata di Pasqua“, un dolce povero di grassi, tipico della tradizione contadina toscana, rispetto a cibi che hanno un alto contenuto di grassi, come quelli a base di formaggi” come il “Fiadone” abruzzese, una torta ripiena di formaggi e uova, diffusa anche nel molisano con alcune varianti, o il “Casatiello” campano, un rustico anch’esso a base di formaggi, uova sode e salumi di difficile digestione. Il loro consumo, se limitato al solo periodo festivo, non influisce sull’organismo, a patto però che si assumano con moderazione. Il consiglio non è quindi di rinunciare ai piatti tipici ma di seguire dopo le feste una dieta sana e leggera, prediligendo frutta e verdura e praticando una costante attività fisica. E intanto, che festa sia!