Da dove nasce l’epidemia di persone affette da ipotiroidismo da cui siamo circondati? Ciascuno di noi ormai può contare su un certo numero di amici e conoscenti che assumono la fatidica pastiglia. Ma qualcuno si ricorda, che so, trent’anni fa, di avere avuto amici ipotiroidei? Evidentemente in questi anni qualcosa è successo. C’è chi incolpa il disastro nucleare di Cernobyl o l’alto livello di interferenti endocrini presenti nell’ambiente (smog, benzene dei carburanti, pesticidi, additivi). Se un fondo di verità sta certamente in quanto indicato, la spiegazione è altrove, e risiede in due fattori scatenanti.
Il primo è reale: lo squilibrio nutrizionale prolungato legato alle continue diete; il secondo è la sovradiagnosi legata alla convinzione – ahimè diffusa anche tra molti colleghi medici – che un iperlavoro ipofisario correttivo (leggi TSH alto) autorizzi una diagnosi di ipotiroidismo. Col risultato che molti si trovano ad assumere farmaci per la tiroide senza averne alcun bisogno. Sarà bene chiarire a fondo entrambi i punti.
Tiroide: qual è il suo lavoro?
Per capire in quale modo la ghiandola tiroide regoli accumulo e consumo nel nostro organismo sarà bene ripassare le sue funzioni fondamentali. Il compito dell’ormone tiroideo, triiodotironina, è quello di stabilire il ritmo metabolico dell’intero organismo. Se vi è tanto ormone i consumi saranno elevati e l’accumulo ridotto al minimo. Se l’ormone è basso prevarrà invece l’accumulo, e i consumi saranno ridotti. Si può dire, insomma, che la tiroide è il nostro piccolo termostato interno, in grado di regolare il livello di spreco o di risparmio energetico, a parità di introito calorico. La tiroide non vive di vita autonoma: è regolata dall’ipotalamo, un pezzo del nostro cervello rettile che reagisce agli stimoli esterni in funzione difensiva (temperatura, cibo, movimento). Questa ghiandola è quindi solo un operaio che esegue ordini. L’ormone tiroideo modifica il tasso di trasformazione dell’energia chimica contenuta nel cibo: se produco tanto ormone tiroideo (non è la tiroide a deciderlo, ma l’ipotalamo) molta dell’energia assunta col cibo andrà sprecata sotto forma di calore. Se ne produco poco, al contrario, sprecherò pochissimo come calore, e tenderò invece ad usare o accumulare tutto quanto assunto, tendendo dunque a ingrassare.
Quando la ghiandola è pigra
Il primo segno di una tiroide pigra è un leggero innalzamento del TSH (thyroid stimulating hormone), l’ormone ipofisario che ha lo scopo di stimolare la tiroide a lavorare un po’ di più. Il fatto che i valori di fT3 e fT4 (gli ormoni tiroidei veri e propri) si mantengano nel range di normalità significa che non vi è nulla di grave e che il problema va inquadrato nei termini di un lieve ipotiroidismo subclinico, dove per subclinico s’intende l’assenza di qualunque sintomo. Un rallentamento subclinico non rappresenta una patologia, ma solo il segno (non determinante) di una possibile futura patologia. Trattare un paziente con TSH più elevato della norma con terapia sostitutiva ormonale (levotiroxina) è dunque concettualmente errato, come ben documentato sia dalle linee guida americane sia da quelle europee (vedi box Per saperne di più). Le linee guida endocrinologiche mettono giustamente in guardia dal trattare con ormone sostitutivo tutti quei pazienti che, con fT3 e fT4 nella norma, presentino un valore di TSH fino a 10. Trattando si induce, infatti, ipertiroidismo iatrogeno, con insonnia, tachicardia, deperimento, agitazione e atrofizzazione graduale della tiroide. Le linee guida europee addirittura suggeriscono, dopo i 70 anni, di non trattare mai, anche se i valori di TSH fossero più alti di 10. Qualcuno mi deve dunque spiegare perché un’intera generazione di medici tratta con estrema aggressività qualunque paziente che presenti valori di TSH appena fuori range? Un medico più saggio userà un approccio più prudente intervenendo solo quando il TSH superi 10 o si abbiano alterazioni del valore dell’fT4.
Troppe diete rallentano la tiroide
Ogni caso, naturalmente, è a sé stante, ma è certo che l’approccio medico di segnale rappresenti una svolta netta rispetto a quello soppressivo della medicina ordinaria, che rende le persone schiave di un farmaco per l’intera vita. È giunta l’ora di cominciare a lavorare sulle patologie endocrine assecondando, invece che contrastando, il prezioso lavoro di riequilibrio esercitato dal nostro organismo. Perché ciò che fa la tiroide nel momento in cui l’ipotalamo le segnala carestia o sottonutrizione è esattamente ciò che il corpo chiede in quel momento: un rallentamento metabolico. Se il corpo è affamato deve consumare meno. Se noi lo forziamo a consumare di più con un farmaco stimolante (levotiroxina) la risposta sarà un’ulteriore atrofizzazione della tiroide per ridurre la produzione ormonale naturale. Nel delirio di diete ipocaloriche, fruttariane, iperproteiche, chetogeniche, digiuni, come volete che reagisca una povera tiroide se non rallentando il metabolismo e i consumi per riequilibrare le cose? Non è solo una speculazione logica. La letteratura scientifica lo conferma: un calo di leptina (cioè sottonutrizione) genera per via ipotalamica un immediato rallentamento tiroideo (Lechan 2006).
Più attenzione alla qualità del cibo
Come fare dunque a riattivare una tiroide un po’ impigrita? Le vie sono diverse in quanto la tiroide risponde a tutti i segnali che rendono improbabile un corretto rifornimento energetico. Un’infezione, un’infiammazione, una situazione di forte stress, un’alimentazione squilibrata da interferenti endocrini, l’assunzione di farmaci, un lutto recente possono spingere l’ipotalamo a rendere (saggiamente) più prudente la tiroide. Ma in assoluto il più forte segnale di rallentamento tiroideo è proprio la carestia, la carenza energetica, il poco cibo, il digiuno. Lavorare in direzione opposta garantirà risultati certi, come ho più volte documentato nella mia esperienza clinica. Ci si deve dunque abbuffare per ripristinare corretti valori tiroidei? Se badiamo solo all’abbondanza e non alla qualità, l’ingrassamento è dietro la porta. Serve dunque mangiare con abbondanza ma anche con grande attenzione alla qualità dei cibi, eliminando con decisione quegli interferenti endocrini (come zucchero, farine raffinate, edulcoranti, additivi, grassi idrogenati) che, alterando i segnali ipotalamici di abbondanza o carestia, vanno ad alterare le risposte tiroidee. Nella mia pratica clinica raccomando di mangiare in modo sano ed equilibrato, coprendo però interamente il fabbisogno calorico richiesto. Contemporaneamente imposto una rotazione alimentare sul glutine, integro con del selenio e indirizzo verso un’attività fisica moderata, riscontrando graduali ma costanti miglioramenti che mi inducono (e talvolta mi obbligano) a ridurre i dosaggi di levotiroxina anche quando la prescrizione sia stata fatta basandosi sulla presenza di autoanticorpi (tiroidite di Hashimoto). Un gran numero di pazienti sotto trattamento ormonale non sono ipotiroidei e non avrebbero mai dovuto essere trattati, non avendo alterazioni di fT3 e fT4. Togliere a queste persone, seppure con gradualità, un farmaco inutile, dovrebbe essere il compito di ogni medico competente che rilevi questa spiacevole, ma diffusissima, situazione.
Cibi Sì e cibo No
Molto spesso chi soffre di patologie tiroidee non viene in alcun modo informato sul valore rallentante o stimolante di alcuni alimenti. Che è invece ben documentato in letteratura. Tra i cibi che possono direttamente rallentare la tiroide vanno ricordati la soia e tutti gli ortaggi appartenenti alla famiglia delle Brassicacee (cavoli e cavolfiori). Ciò che va evitato è un uso massivo di questi alimenti, non quello occasionale. Cenare una sera a settimana con pasta ai broccoli e un pezzo di tofu non rallenterà certo la tiroide. Effetti negativi potranno invece aversi in un vegetariano che sostituisca con regolarità la soia ad altre fonti proteiche. Tra latte di soia, semi, tofu, germogli, pane di soia e salsa, il consumo quotidiano può essere elevato. Anche un eccessivo consumo di glutine è correlato a un maggiore stato infiammatorio della tiroide e può rallentarne le funzioni. L’effetto, però, è in questo caso più indiretto. Tra gli alimenti consigliati vi sono invece quelli naturalmente ricchi di iodio, come il pesce in genere e le alghe, e quelli ricchi di selenio (mediatore nella trasformazione della tireoglobulina in ormone attivo) come il lievito in scaglie o le noci del Brasile.