Piccola premessa. Già nel 1600 Antonie van Leewenhoek, lo scienziato olandese considerato il padre della microbiologia, studiava “gli animaletti” presenti nella sua saliva e nei suoi “prodotti di scarto”. Insomma, senza saperlo stava studiando il suo microbiota. E se con questo termine in genere si intende l’insieme dei batteri, come quelli della flora intestinale, quando si parla, invece, di microbioma, ci si riferisce non solo al microbiota in generale ma a tutte le componenti che lo formano. Ossia l’insieme del patrimonio genetico (genoma) dei diversi microbi, delle proteine o dei metaboliti prodotti e i loro effetti.
Beh, sono passati quasi 4 secoli, ma sono certa che se van Leewenhoek, avesse potuto leggere i risultati di questo importante studio sul microbioma, appena pubblicato su Nature Medicine, ne sarebbe stato davvero entusiasta.
La ricerca, spiegata in breve
Lo studio in questione, il primo di questa importanza, si chiama PREDICT 1 (Personalized Responses to Dietary Composition Trial 1) ed è stato condotto da ricercatori di varie strutture come il King’s College di Londra e l’Harvard T.H. Chan School of Public Health di Boston nonché l’Università di Trento. Come si può capire già dal nome della ricerca, lo scopo degli studiosi è stato quello di capire il rapporto tra alimentazione, microbioma intestinale e i relativi effetti sulla salute. La rilevanza del progetto internazionale è di avere effettuato un’analisi profonda del microbioma intestinale (vedi sopra) e non solo sulla composizione dei vari ceppi batterici della flora, come già fatto in studi precedenti.
A partire dal 2018 sono stati studiati oltre mille soggetti adulti viventi in USA e in Gran Bretagna. Di tutti i partecipanti sono state studiate le abitudini di vita (attività fisica, sonno) e quelle alimentari. E poi il peso (o meglio, l’indice di massa corporea) e lo stato di salute attraverso la ricerca dei vari biomarcatori indicatori di patologie, come quelle dell’apparato cardiocircolatorio o il diabete. Ad esempio, sono stati monitorati, prima e dopo i pasti, i tassi ematici di glicemia, di ormoni e di colesterolo. Infine, questo screening individuale è stato messo in relazione al microbioma intestinale di ogni partecipante. E le evidenze sono state davvero interessanti.
La genetica conta poco
Il primo risultato ha smentito una condizione fino a oggi abbastanza diffusa sull’influenza del patrimonio genetico riguardo alla composizione della flora batterica. Va detto che nel campione di soggetti studiati c’era anche più di un centinaio di gemelli, sia monozigote (ossia identici) che non. Ebbene, il microbioma dei gemelli monozigote è stato messo a confronto, scoprendo che solo il 34% dei loro batteri intestinali erano gli stessi. Una somiglianza davvero ridotta se si pensa che in media le persone senza legami di parentela, condividono il 30% di batteri intestinali.
Dieta buona = batteri buoni
Di conseguenza, se la genetica perde di importanza, a salire sono invece l’alimentazione e lo stile di vita. I ricercatori hanno identificato svariati ceppi batterici: quelli considerati “buoni” erano correlati a un buono stato di salute dell’ospite. La loro presenza consente un migliore controllo della glicemia e la riduzione del grasso viscerale, quello considerato “pericoloso” perché collegato con numerose patologie. Ma svolge anche un effetto antinfiammatorio e di riduzione dei livelli di grassi nel sangue. Nello stesso modo, quelli “cattivi” correlavano con l’obesità o un rischio maggiore di ammalarsi di diabete o di malattie cardiache.
La buona notizia (per chi ama il cibo sano) è che gli scienziati hanno trovato una relazione positiva tra alimentazione sana e batteri buoni, e una tra cibi poco sani – il cosiddetto junk food – e batteri cattivi
I ricercatori hanno definito come “sana”,l’alimentazione basata su cibi associati a un minor rischio di malattie croniche. I consumatori abituali di alimenti vegetali, come gli ortaggi o la frutta a guscio, e di alimenti proteici considerati salutari come lo yogurt o il pesce, “nutrivano” oltre che se stessi anche i loro batteri buoni. Non per niente il professor Tim Spector, epidemiologo del King’s College che ha avviato lo studio PREDICT ha dichiarato: “Quando mangi, non stai solo nutrendo il tuo corpo, ma stai nutrendo i trilioni di microbi che vivono all’interno del tuo intestino”.
Col junk food nutriamo “i cattivi”
Cosa sia il cibo spazzatura lo sappiamo tutti: alimenti processati, ricchi di zuccheri, grassi e additivi vari. Alimenti, insomma, con un valore nutrizionali decisamente scadente. Di conseguenza non è certo una sorpresa che una dieta scorretta andrà a nutrire i ceppi di batteri cattivi che poi, a loro volta, andranno a facilitare sia il sovrappeso che le malattie correlate. Diciamo che grazie a questo studio, oggi lo sappiamo ancora meglio.