I carboidrati fanno ingrassare ed aumentano la ritenzione idrica. Le proteine fanno male, sovraccaricano i reni e la carne rossa è cancerogena. I grassi aumentano il rischio di malattie cardiovascolari e fanno (anch’essi) ingrassare. Non ci resta che nutrirci d’aria dunque! Fortunatamente si tratta solo di falsi miti, di mode alimentari o, alle volte, di stratagemmi commerciali. C’è un unico fattore che determina l’aumento o la diminuzione di peso: ovvero l’introito calorico rispetto alla spesa energetica. Se si assumono più calorie di quelle che si consumano il peso corporeo aumenterà indipendentemente dalle proporzioni di macronutrienti del piano alimentare.
Assodata la necessità di un deficit calorico per il dimagrimento e l’importanza che rivestono tutti i macronutrienti per un corretto funzionamento dell’organismo, la loro ripartizione ha comunque un ruolo non indifferente sull’efficacia della dieta.
Non esiste una ripartizione ottimale assoluta e valida per tutti. Non esiste una proporzione carboidrati-proteine-grassi ideale per la perdita di peso, ma esistono dei profili genetici che rispondono meglio a determinate proporzioni.
Cominciamo spiegando brevemente il ruolo dei macronutrienti e successivamente alcuni dei geni coinvolti nel loro metabolismo.
I carboidrati rappresentano la fonte energetica dell’organismo per eccellenza. Sono una fonte rapidamente disponibile e di immediato utilizzo, motivo per cui sono indispensabili per il sistema nervoso ed utilizzati in quantità dagli sportivi di endurance. I grassi sono invece il “magazzino” energetico del corpo: all’interno degli adipociti vengono immagazzinate riserve di energia in grandi quantità, che in caso di necessità può essere utilizzata con una resa di circa il doppio di quella dei carboidrati, ma la cui disponibilità non è immediata come per questi ultimi. Le proteine invece compongono i tessuti cellulari ed hanno una resa energetica di gran lunga inferiore rispetto agli altri due.
Il metabolismo di questi macronutrienti e la gestione del bilancio energetico vengono fortemente influenzati dal patrimonio genetico, dal quale dipende la tendenza dell’individuo ad utilizzare o immagazzinare l’energia da essi derivata.
L’obesità ed il sovrappeso sono il risultato degli effetti combinati di genetica, ambiente e stile di vita. Comprendere come interagiscono i macronutrienti ed il genotipo è quindi importante per determinare il ruolo dell’alimentazione e delle abitudini in presenza di differenti patologie, fra cui l’obesità.
Gli effetti dell’alimentazione sull’indice di massa corporea possono interagire a diversi livelli con la trascrizione del DNA e con la produzione di proteine. È ormai dimostrato che la risposta individuale a differenti interventi dietetici dipende anche dal genotipo, tuttavia numerosi studi hanno ignorato la correlazione geni-ambiente a causa della difficoltà nell’esaminare i dati. Quelli che si sono addentrati in questo complesso sistema hanno però dimostrato esserci una stretta correlazione.
Ad esempio: uno studio ha analizzato i recettori adrenergici che sono coinvolti nella mobilitazione degli adipociti. Alcuni polimorfismi genetici sono stati associati al rischio di obesità tramite cambiamenti nella funzione di questi recettori. Il campione preso in esame in uno studio presentava una frequenza elevata dell’allele Glu27. L’analisi ha rilevato che l’effetto della mutazione Gln24 sul rischio di obesità era dipendente dalla composizione dei macronutrienti nella dieta. Una maggiore assunzione di carboidrati potrebbe quindi aumentare il rischio di obesità in donne portatrici dell’allele Glu27, che potrebbe essere associato non solo ad un’eccessiva risposta insulinica in questi soggetti ma anche a cambiamenti nelle proporzioni ossidate di carboidrati/lipidi come conseguenza di una funzione squilibrata del recettore adrenergico. La conclusione è stata che tra i soggetti femminili, nei portatori del polimorfismo Glu27 è stata rilevata un’associazione fra un’elevata assunzione di carboidrati ed alti livelli di insulina, che potrebbe aumentare il rischio di obesità.
Gli studi che hanno analizzato il legame fra il polimorfismo Gln27Glu e l’obesità hanno risultati controversi che potrebbero essere spiegati in alcuni casi dalla mancata presa in considerazione di fattori come l’età, il genere o l’attività fisica o le abitudini alimentari. La mutazione non può di certo essere considerata come una causa diretta dell’obesità ed ha mostrato in alcune circostanze effetti diversi in base al genere, ma è ormai accertata l’esistenza di una correlazione.
I polimorfismi genetici associati ad una diversa risposta calorica sono molti. Il gene PPARG2 ha un ruolo importante nella formazione del tessuto adiposo ed è coinvolto nella regolazione della glicemia e dell’insulina mentre il gene TCF7L2 è un gene importante per il bilancio cellulare del glucosio e viene stimolato dall’assunzione di grassi. Il gene ADRB2 è invece coinvolto nella lipolisi, cioè nell’utilizzo dei grassi depositati come riserve, così come il gene PLIN1, che codifica per una proteina che avvolge le gocce di grasso e ne regola l’accesso per il loro utlizzo. APOA5 è invece un gene coinvolto nel metabolismo dei trigliceridi e nel loro controllo mentre APOA2 codifica per una delle principali componenti dal colesterolo HDL. Infine FTO è un importante gene associato all’obesità ed è espresso principalmente nel cervello e ha un importante ruolo nel controllo del bilancio calorico individuale
Uno studio ha identificato una correlazione significativa fra il polimorfismo PLIN11482G>A e gli effetti dell’assunzione di carboidrati complessi tramite la dieta. Quando l’introito di carboidrati complessi è maggiore di 144g al giorno, i portatori della variante allelica più rara hanno mostrato un aumento del peso minore ed una circonferenza vita minore comparati ai soggetti omozigoti. Questa associazione fra questo polimorfismo nel gene PLIN e il rischio di obesità non sussiste se si considera la totalità della popolazione indipendentemente dall’introito di macronutrienti, a dimostrazione che interessa solo le diete ricche di carboidrati. Inoltre, sia l’effetto protettivo che l’aumento del rischio di obesità hanno dimostrato proprietà additive: ogni ulteriore allele variante era associato a una diminuzione o aumento incrementale della circonferenza della vita a seconda dell’elevata o ridotta assunzione di carboidrati complessi. L’interazione fra PLIN11482G>A e la dieta è limitata ai carboidrati complessi e non è stata osservata per gli zuccheri o i carboidrati complessivi.
Un altro esempio riguarda il genotipo PPARc Pro12Alan e l’indice di massa corporea in relazione all’assunzione di grassi. Alcuni studi hanno osservato che la relazione fra la quantità totale di grassi assunti ed il BMI è differente a seconda del genotipo PPARc, e tale relazione è attenuata nei soggetti portatori della variante che determina un’attività ridotta dell’allele 12Ala. Questa correlazione era stata rilevata anche nel modello animale: nei topi un’azione ridotta di PPARc, sia genetica che farmacologica, causa una resistenza all’obesità indotta dalla dieta. Questa resistenza è specifica ad una dieta ricca di grassi e non è stata osservata nel caso di un’assunzione elevata di carboidrati. La relazione tra l’assunzione di lipidi e obesità potrebbe quindi dipendere dalla risposta trascrizionale di PPARc: i portatori della variante wild-type in omozigosi Pro/Pro sembrano avere una risposta migliore ad un’elevata assunzione di grassi rispetto ai portatori della variante 12Ala.
Anche APOA2 – 265T_C SNP influisce sul BMI in relazione all’assunzione di questo macronutriente: questo SNP è fortemente associato al BMI ed all’obesità, in particolare quando l’introito di grassi saturi è elevato. APOA2 è un gene dipendente da una dieta ricca di grassi saturi, quindi la sua espressione fenotipica viene modificata da questa variabile.
Un altro studio ha rilevato una consistente interazione fra patrimonio genetico e dieta in presenza della variante 21131TC di APOA5. Per la maggioranza della popolazione, l’ingestione di grassi, in particolare di grassi saturi, è obesogenica. Tuttavia i soggetti portatori dell’allele C sembrano essere più resistenti all’effetto dell’introito di grassi. In sintesi, lo studio ha replicato l’interazione gene-ambiente, confermando come l’allele meno frequente C sembri avere un fattore di protezione contro l’aumento di peso per una dieta ricca di grassi. I risultati di questo studio confermano la modulazione del genotipo APOA5 sugli effetti di questo tipo di dieta su due fattori di rischio come il girovita ed il BMI.
Per quanto riguarda le proteine, avevamo già affrontato in un precedente articolo il ruolo del gene FTO, la cui variante sfavorevole A in rs9939609 è correlata ad un minore senso di sazietà in caso di dieta iperproteica, e conseguentemente ad un possibile aumento di peso.
Tutti gli studi concordano sul fatto che una restrizione calorica sia il trattamento primario nella cura dell’obesità, ma continua ad essere dibattuto il ruolo della composizione della dieta nella gestione del peso corporeo. Come visto, è stato dimostrato che differenti proporzioni di carboidrati, grassi e classi specifiche di questi macronutrienti modulino la variazione di peso. Ciò dimostra che i fattori genetici sono una potenziale causa della variabilità individuale nella perdita di peso in risposta a modifiche nutrizionali. Considerare l’informazione genetica nel percorso dietetico aiuta quindi a ridurre la variabilità intra-individuale nella perdita di peso ed ottimizza il percorso nutrizionale consentendo un raggiungimento più rapido e meno difficoltoso dei risultati.